Recensione – Mel Gibson ci racconta la passione di Cristo con immagini cruente, soffermandosi sull’uomo sofferente che percorre il cammino verso il Calvario. Un film pieno di violenza, crudeltà, misticismo, ricordo, simbolismo non perfettamente riuscito. Un’opera che ha fatto parlare di sé prima, durante e dopo la proiezione e costituisce un’opera se non fondamentale, quantomeno diversa e originale nel panorama storico della cinematografia di genere.
Il film racconta le ultime dodici ore della vita di Cristo. Inizia con la preghiera nell’orto dei Getsemani, dove Gesù si è diretto al termine dell’Ultima Cena e dove resiste alle tentazioni di Satana. Tradito da Giuda Iscariota, viene arrestato e portato dinanzi ai capi dei Farisei che lo condannano a morte. Ponzio Pilato, governatore romano della Palestina cui si chiede di deliberare, ascoltati i capi di imputazione, offre al popolo infuriato di scegliere se salvare la sua vita o quella di Barabba, noto criminale. Gesù viene flagellato dai soldati romani e riportato dinanzi a Ponzio Pilato. Poichè il popolo ha scelto di salvare la vita di Barabba, Ponzio Pilato, dopo aver chiesto se non era ancora abbastanza, si lava le mani ad indicare che non vuole essere coinvolto nella scelta. Gesù è costretto ad attraversare Gerusalemme e a salire sul Golgota portando sulle spalle la croce. Giunto in cima al monte gli vengono trafitti mani e piedi con i chiodi e viene drizzata la croce davanti agli occhi straziati della madre Maria e delle pie donne, tra cui Maria Maddalena. Gesù affronta l’ultima tentazione, quella di essere abbandonato dal Padre, poi alle tre del pomeriggio, muore mentre il cielo viene squarciato dai fulmini e si strappa la tenda del tempio di Gerusalemme.
La recensione di un film di questo genere non è mai una recensione facile. Chi mi ha preceduto ha avuto il suo bel da fare per resistere al sentimento, al coinvolgimento, al pregiudizio del credente o del non credente. Guardando il film con occhi distaccati non si può non evidenziare il realismo che pervade le scene di flagellazione e tortura di Gesù, talmente intrise di sangue da bucare lo schermo. Ma il ricercato realismo inseguito dal regista si protrae anche nella scelta di distribuire il film nelle lingue con le quali è stato girato: aramaico antico e latino, lingue dell’epoca, affidando ai sottotitoli il compito di tradurre quanto, poco, si dice.
La fonte principale a cui Gibson ha attinto, i Vangeli canonici (Matteo, Marco, Luca e Giovanni), quelli apocrifi (non ispirati per la chiesa cattolica), e i diari delle apparizioni di Suor Anne Catherine Emmerich (1774-1824). Alcuni collaboratori, più vicini al regista, dicono che ad ispirare le scene truci e sanguinarie, siano stati anche alcuni dipinti dei maestri del rinascimento: Caravaggio, Mantenga, Filippo Lippi etc…
Nonostante le fonti il film non può essere considerato storico per gli innumerevoli errori che un laureato in storia troverebbe se usasse una visione al microscopio. Stesso microscopio che potrebbe usare religioso affermando che questo film presenta innumerevoli errori anche dal punto di vista cristiano (la parte orizzontale della croce, l'”invenzione del diavolo”, ecc). Questo film però è anche e soprattutto cinema, quindi non è una sorta di “catechismo” di due ore. Lo si evince già dalla prima scena. Non viene spiegata la storia di Gesù, chi è, chi sono i suoi discepoli, cosa ha fatto come uomo, come Dio, i suoi miracoli. Si inizia subito nel Getsemani dove Gesù viene tentato da Satana, concentrando in quella scena anche la prima domenica di Quaresima. Chi si avvicina a questo film deve sapere chi è Gesù altrimenti il film non glielo spiega e pochissimo vien spiegato di quanto successo prima di quella vicenda.
Dall’orto degli ulivi in poi è un crescendo di violenza ma anche di ricordi passati; in questo forse la bravura e il limite del regista di unire la passione di Cristo all’ultima cena, il momento in cui Gesù dona se stesso, la sua vita, umanità e divinità insieme vengono consegnate ai discepoli, nel pane e nel vino, quella stessa vita viene data nella passione, quella truce, che scarnifica il Messia, lo rende irriconoscibile “tanto era sfigurato per essere d’uomo il suo aspetto e diversa la sua forma da quella dei figli dell’uomo” (Isaia 52,123).
Questa scarnificazione del Messia viene messa in scena con un’enfasi e un soffermarsi sulla sofferenza che ricorda e si avvicina più ai film come Braveheart piuttosto che far affiorare il ricordo di altri Gesù della storia del cinema. Il film, ben interpretato da Caviezel, con una straordinaria Rosalinda Celentano, commuove in almeno un paio di punti: come non commuoversi nel flashback rallentato di una Maria (un’ottima Maia Morgenstern) che corre verso il bambino Gesù che è caduto in un rimbalzo di scene con la caduta di Gesù sotto il peso della croce e davanti a quegli stessi occhi di Maria? Ma tutto questo, rallenty compresi, fanno parte di quelle licenze che il regista si è voluto prendere nel pieno spirito di interpretazione di quanto appreso culturalmente o religiosamente.
Un film da vedere anche solo per l’intento originario di Gibson: raccontare la sofferenza di un Dio fatto uomo in 12 ore di tradimento, giudizio, processo, flagellazione, tortura, fatica, morte.
Voto: 7,4